social media e informazione sulla salute

L’utilizzo dei social media a livello globale ha raggiunto la stima di oltre 4,5 miliardi di persone. Risulta quindi fondamentale capire il livello di attendibilità delle informazioni riguardanti la salute che circola sulle piattaforme. E’ questo l’oggetto di riflessione di un articolo sul sito Salute internazionale. Una riflessione che parte dall’analisi di diverse ricerche che, se da una parte evidenziano gli aspetti positivi dei social, dall’altra ne sottolineano le diverse criticità.

Tra gli aspetti positivi c’è sicuramente la democraticizazzione delle informazione sanitarie, sia in termini di accessibilità che di condivisione tra persone che vivono contesti distanti. Tra gli aspetti negativi si richiama in primis “(…) l’accuratezza delle informazioni. Infatti, i social media possono avere parte attiva nella disinformazione e nella misinformazione. Questo aspetto è emerso con forza rispetto ai vaccini contro COVID-19, ma i temi di salute interessati da questo fenomeno sono innumerevoli.”

“I dibattiti che si generano sui social media sono spesso segnati dalla segregazione e dalla formazione di “echo chambers”, dove gli utenti interagiscono principalmente con contenuti che rispecchiano le loro convinzioni, contribuendo ai bias di conferma, rafforzando le opinioni estreme/polarizzate che possono portare a razzismo, sessismo e xenofobia, e amplificando la disinformazione.”

Una disinformazione che può passare anche da altri canali, quali il marketing e le opinioni degli influencer. Per questo motivo alcune ricerche raccomandano di considerare i social media come un determinante della salute.

La stessa raccomandazione viene da  Zenone et al. (2023), che “(…)  hanno proposto di considerare l’industria dei social media come un determinante commerciale della salute a causa dei suoi impatti diretti e indiretti sulla salute degli utenti: i loro prodotti, come la pubblicità mirata, superano i metodi pubblicitari tradizionali in potenza, permettendo alle industrie dannose per la salute di raggiungere pubblici specifici.”

In questo panorama si aggiunge anche il ruolo dei social media influencer (SMI), che sono diventati un veicolo di informazione importante, soprattutto per i giovani. Una informazione  che ” (…) non solo è mossa per lo più da interessi commerciali, ma è anche caratterizzata, molto frequentemente, da una mancanza di competenze specifiche”, come evidenzia uno studio recente di Engel et al. (2023).

“La maggior parte degli studi esaminati descriveva l’impatto negativo degli influencer sulla salute, esercitato attraverso la promozione di immagini corporee irrealistiche, diete non sane, uso di sostanze che inducono dipendenza e la diffusione di consigli inesatti su diagnosi e trattamenti.”

Ma quali sono gli strumenti da mettere in campo per contrastare gli effetti negativi collegati ad una informazione non corretta?

Secondo  l’articolo uno potrebbe essere l’acquisizione di competenze di alfabetizzazione sanitaria e, più specificamente, di alfabetizzazione sanitaria digitale (DHL). Competenze che potrebbero aiutare gli utenti a capire se le informazioni a cui accedono sono offerte con interessi commerciali o se sono affidabili.

“Entrambe queste abilità risultano fondamentali nel contrastare l’effetto dell’industria dei social media come determinante commerciale della salute e nel districarsi nei contenuti pubblicati, separando il grano (le informazioni vere) dal loglio (le informazioni false), anche rispetto ad un ulteriore fenomeno, ovvero le strategie di disinformazione che coinvolgono bot e troll (Zollo, 2024).

In conclusione gli autori  suggeriscono che “(…) i social media dovrebbero essere considerati un determinante di salute – e l’industria dei social media come un determinante commerciale della salute.

E’ compito dei professionisti della salute capire opportunità e rischi dei social media, anche basandosi sulle ricerche  relative alle possibili relazioni tra attività sui social e comportamenti.

 

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