PREVENZIONE DAL CONSUMO DI ALCOL IN GRAVIDANZA

fasLo spettro è quello della ricomparsa anche in Italia della sindrome feto alcolica, ormai debellata da decenni.
Gli ultimi dati Istat sul consumo di alcol tra gli adolescenti offrono uno spaccato inquietante dello stato di salute dei giovani italiani: se da un lato rassicura il dato generale, relativo a una diminuzione del consumo giornaliero di sostanze alcoliche, dall’altro fa riflettere l’abbassamento dell’età di inizio e il cambiamento del tipo di bevanda, da vino e birra a cocktails, aperitivi e superalcolici.
Avviata la campagna, promossa da Assobirra e Società italiana di ginecologia, per sensibilizzare la popolazione femminile. Ancora oggi una su tre non sospende il consumo di alcol. Lo slogan è “Se aspetti un bambino l’alcol può attendere

Questo pericoloso cambiamento di abitudini sta aprendo una riflessone tra studiosi ed esperti di prevenzione e tra coloro che si occupano di età evolutiva, infanzia e adolescenza, ponendo il problema della possibile comparsa dell’uso di alcolici in gravidanza, fenomeno al momento contenuto in Italia rispetto ad altri Paesi europei e agli Stati Uniti. Lo spettro è quello della ricomparsa anche da noi della sindrome feto-alcolica, ormai debellata da decenni ma riscontrata spesso nei bambini adottati provenienti dall’Est Europeo, in particolare dalla Russia.

I dati Istat 2012 ci dicono che il 66,6% della popolazione adolescente italiana consuma almeno una bevanda alcolica l’anno. Aumenta la quota di quanti dichiarano di bere alcolici fuori dai pasti (dal 23,1% del 2002 al 26,9% del 2012) e di chi ne consuma occasionalmente (dal 35,8% nel 2002 al 42,2% nel 2012) e cambia il tipo di bevande consumate: in particolare, diminuisce la quota di chi consuma solo vino e birra e aumenta quella di chi beve aperitivi alcolici, amari e superalcolici. Il 51,9% dei giovanissimi beve vino, il 45,8% birra e il 40,5% aperitivi alcolici, amari, superalcolici o liquori; consumano vino tutti i giorni il 21,5% dei ragazzi e birra il 4,1%.

I comportamenti a rischio nel consumo non moderato e giornaliero di alcol, detto “binge drinking”, tra gli 11-15 anni di età, riguardano complessivamente sette milioni e 464 mila ragazzi. Dai dati, i comportamenti a rischio più frequenti si osservano fra gli over-65 (il 40,7% degli uomini contro l’10,1% delle donne), seguiti da adolescenti e giovani di 18-24 anni (il 21,0% dei maschi e il 9,5% delle femmine), e poi da pre-adolescenti e adolescenti di 11-17 anni (il 12,4% dei maschi e l’8,4% delle femmine).

«La forma più grave delle patologie del feto indotte dal consumo di alcol durante la gravidanza – spiega Adelia Lucattini, psichiatra psicoterapeuta e psicoanalista – è la Sindrome alcolico-fetale o Fas (Fetal alcohol syndrome). La pubblicazione nella letteratura medica delle alterazioni provocate dall’alcol sullo sviluppo intrauterino del bambino è avvenuta nel 1968 in Francia e, pochi anni dopo, negli Usa. Da allora si sono susseguiti numerosi studi, condotti poi in tutto il mondo, che hanno permesso di definire meglio i diversi disturbi del feto e del neonato correlati all’esposizione all’alcol in gravidanza, denominati “spettro dei disordini feto-alcolici” (Fasd), fino ad arrivare a una mappatura della loro diffusione in diversi Paesi».

Se una donna in gravidanza assume bevande dannose, l’alcol e il prodotto della sua metabolizzazione, l’acetaldeide, arrivano direttamente nel sangue del feto poiché attraversano la placenta, che non è in grado di filtrarle, come accade invece per altre sostanze alimentari o per i farmaci. «Il feto – continua Lucattini – non è in grado di metabolizzare l’alcol come un adulto, e viene così esposto più a lungo ai suoi effetti tossici. Ne consegue che il bambino può nascere con deficit intellettivi, cognitivi e difficoltà comportamentali».

La probabilità di far del male al feto è proporzionale alla quantità di alcol assunto dalla madre. «I bambini la cui madre ha consumato quotidianamente 80 grammi di alcol (puro) al giorno sono considerati ad alto rischio. D’altro canto – precisa l’esperta – anche l’assunzione sporadica ma consistente (abuso occasionale) è un pericolo per lo sviluppo del nascituro, perché gli effetti nocivi possono manifestarsi in ogni momento della gravidanza».

Si parla poco di questa sindrome, ma è meno rara di quanto si pensi: tra i neonati dei Paesi occidentali, la percentuale è aumentata dal 10% al 30% nell’ultimo decennio. Per sensibilizzare la popolazione mondiale, proprio quest’anno 80 organizzazioni di 35 Paesi diversi si sono messe insieme per dare il via a una campagna ad hoc campagna contro la sindrome Fas, dal titolo “Too youg to drink”. Il progetto grafico, tutto italiano, è stato scelto per partecipare alla biennale d’arte di Venezia.

L’informazione e una cultura della salute e del benessere sono senz’altro uno strumento di prevenzione essenziale, da unire al buon esempio della famiglia, passando per la scuola, gli adulti, gli amici, i parenti, gli allenatori, gli educatori e tutti coloro che accompagnano gli adolescenti durante la crescita. Da non trascurare o sottovalutare la contemporanea prevenzione dei disturbi depressivi dell’infanzia e dell’adolescenza, che possono protrarsi fino all’età adulta e avere come effetto secondario o “collaterale” l’abuso di alcol e l’instaurarsi della dipendenza, fisica e psicologica, da questa sostanza: una condizione, quest’ultima, che richiede sempre trattamenti complessi, specifici e integrati.

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