I professionisti delle relazioni d’aiuto al tempo del Covid-19 dovevano fermarsi o andare avanti ad ogni costo? E’ questa la domanda che si è posta, e che ancora l’accompagna, l’autrice di questo articolo sulla rivista Ne.Mo, che racconta le riflessioni riguardanti il percorso di Fototerapia intrapreso, a distanza, a maggio 2020. Ma la domanda iniziale ne poneva altre: come fare a tradurre in modo efficace su di uno schermo il lavoro di arteterapia che si basa su setting precisi, che prevedono il lavoro di gruppo e l’interazione tra partecipanti che condividono spazi e tempi contemporaneamente? Dopo un primo momento di spaesamento, l’autrice ha accantonato l’idea di fermarsi e ha deciso di rimettersi in gioco creando su una piattaforma un laboratorio dal titolo: Scatti in 200 metri.
Il titolo lascia intuire che lo spazio da indagare sarà quello entro i 200 mt, partendo da quello più intimo, della casa e della sfera personale delle emozioni, fino a quello esterno permesso durante le settimane più dure della pandemia: “(…) Le parole chiave per me sono state “esprimere” e “testimoniare” e non ho avuto dubbi sul fatto che fosse la fotografia il mezzo più adatto per dare forma ai miei intenti. D’un tratto per me è diventato non solo importante ma anche estremamente interessante indagare attraverso gli strumenti della Fototerapia che cosa le persone provassero nel momento più critico del lockdown e in che modo lo potessero testimoniare lasciandone una traccia per i tempi a venire”.
Ma quali sono stati i principali strumenti con cui si intendeva indagare, attraverso la fotografia, il tema della distanza al tempo del Covid-19? Il reportage emozionale e il ritratto. Con il primo si chiedeva ai partecipanti di raccontare, attraverso le fotografie, le emozioni che si provavano nell’abitare questi 200 mt per poi condividerle in gruppo, mentre con il secondo strumento di raccontare, sempre delle emozioni, ma attraverso degli autoritratti secondo il metodo The Self-Portrait Experience® di Cristina Nunez.
Per tutti i partecipanti l’esperienza si è rivelata utile prima di tutto per riscoprire la propria immagine, costringendo la persone a confrontarsi con essa, inoltre: “(…) c’è stata sicuramente la scoperta di nuovi aspetti di sé e la Fototerapia è stata un ottimo strumento attraverso cui mettere insieme i pezzi del proprio puzzle interiore. Per molti, inoltre, la fotografia era un mezzo di espressione nuovo per cui alla scoperta di sé si è aggiunta la scoperta di una diversa forma comunicativa che in molti casi ha regalato un rispecchiamento (così è stato spesso definito dagli stessi partecipanti) dal forte impatto emotivo, per il singolo e per il gruppo”.
Per la terapeuta lavorare a distanza e con nuovi strumenti si è rivelato importante per due ragioni principali: ha permesso di entrare nelle case, cosa che normalmente non succedeva, diventate sia setting che strumento di lavoro, e ha ridotto la paura del giudizio degli altri (ci si poteva collegare anche senza il video per condividere) entrambi elementi che hanno facilitato il lavoro.
In conclusione, per la conduttrice “il percorso virtuale è stato terapeuticamente efficace nella misura in cui ha avuto un impatto sulla vita reale dei partecipanti e ciò è avvenuto attraverso un processo che ha trasformato le emozioni generate dagli incontri online in manufatti simbolici, descrivibili, percepibili coi sensi e condivisibili anche al di fuori della rete; in modo indiretto questo processo ha inoltre suggerito nuove prospettive di pensiero e di azione o nuovi strumenti di gestione delle emozioni modificando, più o meno lievemente, la vita quotidiana dei partecipanti”.
Magazine NE.MO Rivista online di fototerapia, fotografia terapeutica e fotografia ad azione sociale
Numero 3/2021
Pag. 30-47