salute mentale e discorso pubblico

Salute mentale o benessere psichico, sono argomenti di cui in Italia si parla ancora poco, soprattutto a livello pubblico. Invece, secondo un articolo apparso sul sito della rivista Altreconomia, in altri paesi è più facile che personaggi pubblici parlino dei loro problemi di salute mentale. Secondo alcuni questo sarebbe un modo per aprire un dibattito su questioni troppo spesso taciute per diversi motivi.
“In Italia abbiamo iniziato ad assistere a questo cambiamento solo di recente”, spiega Jessica Mariana Masucci, giornalista freelance, intervistata da Altreconomia e autrice del saggio “Il fronte psichico. Inchiesta sulla salute mentale degli italiani” (Nottetempo, 2023). Un volume che in circa duecento pagine analizza diverse sfaccettature di questo complesso e delicato argomento dando voce a psicologi, psichiatri, operatori sanitari ed esperti di comunicazione.” Secondo l’autrice la pandemia ha sicuramente dato una spinta ad uscire fuori dal guscio e parlare, più o meno apertamente, dei disturbi che affliggono molte persone.
Il problema è però come se ne parla, non quanto se ne parla, sostiene l’autrice. Socializzare i propri disturbi e le terapie intraprese con il supporto di professionisti va bene. Il rischio è quello di “(…)  rendere glamour un disturbo mentale: un rischio che si corre soprattutto sui social media dove la diagnosi rappresenta un modo per sentire di appartenere a un determinato gruppo sociale.
Il nostro paese nonostante abbia riconosciuto, con l’introduzione del Bonus psicologico, un bisogno fondamentale per la salute mentale investe ancora troppo poco. Solo il 3% del PIL  del budget nazionale per la sanità è utilizzato per far fronte a questa situazione. In questa situazione i Dipartimenti della salute mentale sono in grado di rispondere correttamente solo al 55,6% del fabbisogno assistenziale stimato. Secondo Masucci il problema non sono solo le risorse, ma anche la qualità degli interventi. Interventi che devono rivolgersi ai diversi aspetti della vita quotidiana, in particolare il lavoro.
L’attività lavorativa, nel saggio, è stata individuata come un fattore scatenante di problemi legati alla salute mentale. Soprattutto se si guarda alla sua qualità: lavorare in un ambiente adeguato, avere un lavoro stabile o precario, avere un compenso adeguato o meno, possono essere fattori fonte di grande stress lavorativo. Se alle politiche attive del lavoro non si affiancano momenti di supporto psicologico il rischio è che si vanifichino gli interventi fatti.
Per quanto riguarda gli spazi dove condividere la propria situazione di salute è indubbio che i social siano diventati il luogo di elezione, soprattutto per i più giovani. L’autrice a proposito sottolinea che, se da una parte ansia e depressione sono state sdoganate, rimane più difficile parlare di disturbi più complessi. Di fatto “(…) si parla pochissimo delle dipendenze. Sui social bisogna stare anche attenti a non cadere nell’errore delle cosiddette check-list: una logica secondo cui se “spunti” una serie di sintomi ti autoconvinci di avere quel disturbo mentale. Questo meccanismo non si trova solo sui social ma questi lo amplificano molto. Tali problemi derivano anche da una scarsa alfabetizzazione medica di noi italiani, che in parte era emersa già durante la pandemia da Covid-19 e si vede anche in questo ambito”.

Questa voce è stata pubblicata in POLITICHE SOCIALI E SANITARIE, PREVENZIONE. Contrassegna il permalink.