DISTURBI ALIMENTARI E PANDEMIA

L’anno pandemico non ha alterato solo le relazioni con gli altri. Anche il rapporto con sé stessi e con il proprio corpo è stato influenzato dalla crisi sanitaria ancora in corso, con importanti conseguenze sul piano psicologico.
Oltre il 30% della popolazione giovanile si è infatti aggiunta ai tre milioni di italiani che già soffrono di disturbi del comportamento alimentare (DCA).
Sotto la definizione di DCA rientrano patologie e disagi di natura psicologica e psichiatrica caratterizzati da un’alterazione delle abitudini alimentari e da un’eccessiva preoccupazione per il peso e per le forme del corpo. In passato si pensava colpissero prevalentemente il sesso femminile, ma oggi sappiamo essere piuttosto diffusi anche tra i maschi, il più delle volte in adolescenza.

In Italia muoiono 3000 ragazzi l’anno per cause dirette e indirette legate ai DCA, ma c’è pochissima prevenzione e non esiste formazione di personale specializzato”, spiega a Lumsanews lo psichiatra e psicoanalista Leonardo Mendolicchio, responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Riabilitazione DCA all’Istituto Auxologico di Piancavallo (Verbania).
I principali disturbi sono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata (o binge eating disorder, BED), ma i manuali diagnostici descrivono anche altri casi correlati, come quelli della nutrizione (feeding disorders) e dell’alimentazione sotto-soglia.

Altrettanto importanti sono anche i problemi legati alle dipendenze da cibo o ai comportamenti alimentari rigidi e stereotipati come l’ortoressia, ovvero l’ossessione per il cibo sano, o la vigoressia, il mito del corpo muscoloso.
La dipendenza dal cibo si caratterizza invece per il consumo compulsivo di alimenti appetibili e crea una forma di dipendenza simile a quella da fumo, alcol e droghe. C’è anche un collegamento con il consumo di cibi ad alto contenuto di grassi: la loro assunzione aumenta la produzione di endocannabinoidi (composti simili a quelli presenti nella marijuana) che inviano al cervello segnali volti a richiederne altri. Si crea così una compulsiva ricerca del piacere guidata dalla dopamina, un neurotrasmettitore i cui livelli aumentano prima e durante un’attività piacevole e che collega il sistema limbico, che si occupa delle emozioni, con l’ippocampo, che invece è responsabile della memoria. Le attività piacevoli vengono così collegate a ricordi intensi e allettanti: il problema sorge quando questi prendono il sopravvento sulla libertà di scelta della persona: “Contemporaneamente alle restrizioni alimentari, si possono alternare comportamenti di eccesso che minano la fiducia del soggetto nel trovare un contatto reale con il proprio corpo e che lo renda capace di sentire sensazioni ed emozioni”, spiega a Lumsanews la dottoressa Flaminia Cordeschi, psicologa-psicoterapeuta e presidente del centro disturbi alimentari di Roma.

Nella vita accadono poi eventi che condizionano le azioni quotidiane: è il caso della pandemia.“Il confinamento e le situazioni familiari complesse che si sono venute a creare hanno comportato un aumento dei casi di DCA, acutizzando in modo feroce dinamiche che erano già in atto, ma camuffate dal modo di vivere”, sottolinea in proposito la presidente e fondatrice dell’associazione bulimia e anoressia Fabiola De Clercq.
“In alcuni casi il disturbo è iniziato quando il rallentamento del ritmo della vita ha reso possibile un maggior contatto con sé stessi, vissuto come problematico e irrisolto”, aggiunge la dottoressa Cordeschi. Ma i disturbi non colpiscono solo i giovani: “Gli adulti hanno riversato nel cibo tutte le inquietudini di questo periodo, estremizzando i comportamenti alimentari in ambo i sensi” ha spiegato il dottor Mendolicchio. Un fenomeno che va dunque combattuto e sconfitto: questo l’obiettivo comune, ma per raggiungerlo esistono diverse strategie. Una di queste è senza dubbio l’educazione alimentare e la cultura culinaria del territorio.

Come suggerisce Cordeschi infatti, la chiave è “favorire situazioni di confronto nella scuola”. Oltre a questo Mendolicchio aggiunge che è fondamentale il recupero della cultura legata al cibo in quanto “siamo il paese con il più alto tasso di obesità infantile di Europa”, individuando tre legami funzionali con il cibo: territorio, tradizioni e innovazione.
Altre strategie sono il coinvolgimento delle famiglie nella cura, come sostengono le presidenti delle associazioni, e il giusto orientamento delle risorse economiche sanitarie, come avverte il dottor Mendolicchio: “Le risorse sanitarie destinate alla cura e alla ricerca dei DCA sono circa un quarto di quelle destinate alle demenze e un quinto di quelle destinate all’autismo, perciò è determinante stimolare l’opinione pubblica”.
Per Cordeschi è fondamentale anche “parlarne nei media di ogni tipo” in quanto “aiuta a chiedere aiuto” per superare il timore di essere diverso e sbagliato.

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