IL CARCERE ALLA PROVA DELLA FASE 2 – Rapporto Antigone

Si attenua l’effetto delle misure per contrastare la pandemia.
L’8 marzo entravano in vigore, con il decreto “Cura Italia”, le prime misure atte a contenere i numeri della popolazione detenuta per contrastare la diffusione del coronavirus in carcere. Nei mesi successivi le presenze, che peraltro già prima di queste misure erano iniziate a calare, raggiungevano a fine aprile le 53.904 unità. Tre mesi dopo, a fine luglio, le presenze in carcere, con 53.619 unità, restano sostanzialmente stabili.
Il tasso di affollamento ufficiale si ferma per ora al 106,1% (era del 119,4% un anno fa) ma in ben 24 istituti supera ancora il 140% ed in 3 si supera il 170% (Taranto con il 177,8%, Larino con il 178,9%, Latina con il 197,4%). Il reale tasso di affollamento nazionale è inoltre superiore a quello ufficiale in quanto alcune migliaia di posti letto non sono attualmente disponibili a causa della chiusura dei relativi reparti.

287 i casi totali di contagio da coronavisurs tra i detenuti
Secondo gli ultimi dati disponibili i casi totali in carcere fino al 7 luglio sono stati 287 con un picco massimo nella stessa giornata di 161 persone positive. Un numero contenuto, ma da non sottovalutare: in rapporto al totale della popolazione detenuta è infatti superiore, sebbene di poco, al tasso di contagio nel resto del paese. Le misure prese a marzo a livello periferico sono state determinanti.
Non deve tornare l’affollamento in carcere, altrimenti si rischia di trasformare queste ultime in luoghi fortemente a rischio, come lo sono state le Rsa. Sono disponibili per personale e detenuti dispositivi di protezione individuale.

Il 52,6% dei detenuti deve scontare meno di tre anni e una parte potrebbe avere accesso alle misure alternative
Il 19,1% dei detenuti ha un residuo pena inferiore ad un anno, il 52,6% deve ancora scontare meno di tre anni per un totale di 18.856 detenuti. Queste percentuali salgono molto per i detenuti stranieri, arrivando rispettivamente al 26,3% ed al 66,6%.
Aumenta anche l’età media. I detenuti con più di 50 anni erano il 25,2% a fine giugno 2019 mentre un anno dopo erano il 25,9% dei presenti.
Le misure alternative, oltre ad avere ritorni positivi per la sicurezza collettiva – visto che una persona in misura alternativa ha un tasso di recidiva tre volte inferiore a una persona che sconta per intero la pena in carcere, potrebbero far risparmiare 500 milioni di euro: un detenuto costa in media 150 euro al giorno circa (costi che comprendono la retribuzione dello staff), mentre una persona in misura alternativa costa dieci volte di meno, si potrebbero risparmiare almeno 500 milioni di euro.

Il rapporto di Antigone dedica una parte al carcere post-covid:
Per provare a descrivere lo stato attuale del sistema penitenziario nazionale di fronte alla pandemia, ed in particolare l’attuale stato di applicazione delle restrizioni adottate a partire dalla fine di febbraio, è stata fotografata la situazione di 30 istituti sparsi per tutto il paese.
Il campione è certamente significativo dato che comprende molti tra gli istituti più grandi del paese.
Dei 30 istituti monitorati 6 sono in Lombardia, 5 in Sicilia, 5 in Lazio e 5 in Campania, 2 in Puglia, 2 in Toscana, 2 in Piemonte, 2 in Umbria ed 1 in Calabria, distribuiti dunque in ben 9 regioni questi 30 istituti da soli ospitano 23.601 detenuti, il 44% di tutta la popolazione detenuta d’Italia. In questo senso il campione individuato risulta certamente significativo e le informazioni raccolte dal 20 luglio in poi utili ed attuali.

RIPRESI I COLLOQUI CON I FAMILIARI. SOLO IN 6 CARCERI NE VIENE CONCESSO UNO AL MESE
Nella misura minima di uno al mese, i colloqui sono ripresi ovunque ed in effetti solo in sei tra gli istituti monitorati, per lo più in Lazio ed Umbria, ci si è limitati alla misura minima prevista dalla legge. Nel 60% dei casi la ripresa dei colloqui è stata più ampia, consentendo generalmente due colloqui al mese.
I colloqui vengono effettuati adottando diverse misure di prevenzione (separazioni in plexiglass, mascherine, controllo della temperatura, etc.) ma varia significativamente il numero delle persone ammesse a colloquio. Molto spesso è consentito l’accesso ad un solo familiare ma in alcuni istituti i familiari possono essere due, un adulto ed un minore (ad es. a Lecce, Caltagirone o Regina Coeli) o 3 come a Viterbo.

IN QUASI TUTTI GLI ISTITUTI MANTENUTI I PROVVEDIMENTI SU CHIAMATE E VIDEOCHIAMATE VARATI DURANTE LA FASE DELL’EMERGENZA. 
Nonostante la ripresa dei colloqui in 19 istituti, il 63% del nostro campione, si continuano a concedere telefonate oltre i limiti in vigore prima della pandemia.
Quanto alle videochiamate, sostanzialmente vengono effettuate ancora in tutti gli istituti oggetto del monitoraggio (86,7%). Nella maggior parte di questi però sono di fatto divenute alternative ai colloqui con i familiari, cumulabili con questi e conteggiati nel numero massimo di colloqui
consentito. In pratica sta attualmente ai detenuti ed ai loro familiari decidere se preferiscono fare il colloquio in presenza o una videochiamata. Sarebbe auspicabile che, visto il buon esito della misura e gli scarsi problemi di sicurezza incontrati, le videochiamate si aggiungessero ai colloqui visivi e non fossero alternativi a questi. Si tratta peraltro di modalità di comunicazione che spesso raggiungono persone diverse.
I lunghi spostamenti per i colloqui spesso risultano eccessivamente faticosi per genitori anziani o figli piccoli, che possono in questo caso preferire le videochiamate senza gravare sul numero massimo di colloqui che un detenuto può fare con altri familiari.

NEL 23% DEGLI ISTITUTI MONITORATI ANCORA NON ENTRANO PERSONE DALL’ESTERNO
Nella maggior parte degli istituti monitorati sono riprese anche le attività che presuppongono l’ingresso di persone dall’esterno ma in 7 (il 23%) continua a non entrare nessuno da Marzo o quando qualcuno entra, come a Prato, a Monza o a Siracusa per il rifornimento del magazzino vestiario per i detenuti indigenti, non ci sono comunque contatti con i detenuti.
Dove i volontari entrano vengono comunque spesso (ma non sempre) contingentati i numeri e sono in ogni caso attuate tutte le misure necessarie per la prevenzione dei contagi.

NEL 60% DELLE CARCERI I DETENUTI HANNO RICOMINCIATO AD USUFRUIRE DEI PERMESSI. ANCHE SE LA QUARANTENA OBBLIGATORIA DI 14 GIORNI SCORAGGIA DALL’USCIRE
Quanto ai permessi, ci risulta che i detenuti siano tornati ad uscire nel 60% degli istituti monitorati. Variano però molto le misure adottate al rientro in carcere. In molti istituti (ad es. Pavia, Velletri, Civitavecchia) al rientro vengono effettuati 14 giorni di quarantena, cosa che scoraggia molti detenuti ad usufruire dei permessi. In altri casi, come in Puglia, i detenuti una volta rientrati sono sottoposti a isolamento fiduciario di 72 ore. Vengono poi sottoposti al tampone il cui esito arriva nell’arco di qualche ora. E a questo punto, se negativi, rientrano in sezione.

Il Pre-Rapporto Antigone è scaricabile:
SALUTE, TECNOLOGIE, SPAZI, VITA INTERNA – IL CARCERE ALLA PROVA DELLA  FASE 2 

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