TOSSICODIPENDENZA, MIGRANTI E CARCERE

La presenza dei detenuti stranieri nelle carceri italiane ha avuto un incremento, negli anni, funzionale all’aumento dell’incidenza del segmento “stranieri” sul totale relativo alla popolazione residente e, per certi versi, alla crisi che ha interessato l’economia Italiana.
Se, nel 1991, erano stranieri il 15,1% dei detenuti ristretti nelle carceri Italiane, la percentuale è salita al 29,5% nel 2001 per raggiungere il record del 36,2% al 31 ottobre 2011, a fronte di una incidenza di stranieri sul totale dei residenti in Italia pari al 7,5%.
In un articolo pubblicato sulla Rivista Sestante vengono analizzate le cause di questo fenomeno con particolare riferimento alle criticità vissute dai detenuti stranieri tossicodipendenti ristretti nella Regione Emilia-Romagna.

A fronte di un indice nazionale pari al +48% (dato dal rapporto tra la presenza effettiva dei detenuti e la capienza regolare degli istituti), in Emilia-Romagna, la popolazione detenuta supera di ben il 52,2% la capienza complessiva degli istituti penitenziari.

Presso la Casa Circondariale di Rimini, dove opera l’equipe-carcere del SerT, la situazione appare ancora più pressante, i detenuti stranieri rappresentano oltre il 61% del totale (25 punti percentuali sopra alla media nazionale) mentre l’indice di sovraffollamento è pari a +69% (+44%, rispetto alla media italiana); la forte incidenza dei migranti sugli italiani, è aggravata dal fatto che, molti di questi, sono clandestini quindi dotati di risorse economiche molto limitate o assenti, viene ad evidenziare sacche di povertà molto forti, tra la popolazione detenuta, e conseguenti conflitti con quei carcerati, più radicati sul territorio e che, comunque, possono contare su un supporto economico più consistente e costante.

I tossicodipendenti presenti a tutt’oggi nel carcere di Rimini sono rappresentativi di oltre il 44% della popolazione detenuta, percentuale che si è ridotta, nel corso degli ultimi anni, da quando è stata operata una più attenta valutazione sui nuovi giunti e si è deciso di non basarci esclusivamente sulla dichiarazione rilasciata dall’utente alla visita di ingresso (relativa all’abuso di sostanze stupefacenti o alcool) ma di considerare ascrivibili a tale condizione solo quelli “potenzialmente certificabili”, per conoscenza pregressa, perchè provenienti da comunità terapeutica o perchè positivi, all’ingresso, agli esami previsti per la verifica dell’abuso di droghe oppure alcool, oppure, in grado di fornire documentazione attestante stati di abuso da alcool o da sostanze psicoattive.

Mentre la maggior parte dei detenuti tossicodipendenti italiani è conosciuto dai SerT, la quasi totalità dei detenuti stranieri, omologhi per condizione, risultano sconosciuti oppure, in alcuni casi, hanno avuto contatti con i Servizi solo durante precedenti carcerazioni, questo a conferma della scarsa propensione, da parte dei migranti, anche se regolarmente residenti nel nostro paese, alla fruizione dei servizi sanitari, sia di base che specialistici; questa situazione dimostra l’importanza dell’equipe carcere del SerT nel favorire l’aggancio con i servizi da parte di quella parte sommersa di popolazione in condizione di tossicodipendenza, particolarmente consistente tra gli stranieri residenti in Italia.

La condizione degli stranieri detenuti in condizione di tossicodipendenza, è indubbiamente molto più problematica rispetto a quella dei nativi; tale “sacca di disagio”, particolarmente esplosiva per quanto riguarda i clandestini, può generare effetti dirompenti, sulla gestione della vita dei detenuti all’interno del sistema-carcere, in quanto pressochè totalmente inibita all’accesso di quelle risorse (terapeutiche, abitative, benefici di legge…) che consentono, agli altri detenuti, di rappresentarsi la possibilità di un reinserimento e di sviluppo di stili di vita più integrati, “accelerando” l’uscita dal carcere ed il distacco da contesti marginali e devianti: per questi motivi, proprio l’assenza di una dimensione di “speranza”, porta molti di questi detenuti a mettere in atto agiti autolesivi particolarmente eclatanti, nei quali motivazioni di sfida (palesate) si mischiano a quelle relative ad una angoscia latente.

TOSSICODIPENDENZA, MIGRANTI E CARCERE
Daniele Donati, Daniele Righini
SESTANTE, N.35
Luglio 2012

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